Ottobre 14, 2024

Il terzo tempo

"When the seagulls follow the trawler, it is because they think sardines will be thrown into the sea"

Gli insegnamenti di Evani, Galli e Baresi, la grande amicizia con Astori e il rapporto con Mondonico – La nostra intervista a Ferdinando Vitofrancesco

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Abbiamo avuto la grande occasione di intervistare Ferdinando Vitofrancesco, esterno destro – capace di giocare anche a centrocampo e non solo – del Città di Varese, club di Serie D che ambisce al ritorno tra i professionisti. Gli abbiamo sottoposto tantissime domande, da cui sono derivate risposte alquanto interessanti. Il numero 6 – nonché capitano – della società lombarda ci ha raccontato tutta la sua vita da calciatore: le giovanili nel Milan – sotto la guida di Evani, poi Galli e infine Baresi -, la sua avventura a Cremona con Sirigu, Astori (che ha ricordato con parole davvero belle) e Mondonico – mister a cui è parecchio legato -, la Serie B a Grosseto, una brillante esperienza ad Alessandria e non solo, dandoci anche un suo punto di vista sulla categoria in cui milita e condividendo il suo entusiasmo nel rappresentare questa città. Oltre a ciò, ci ha parlato di diversi suoi compagni – ha giocato con gente come Aubameyang, Pinilla, Coda, Biraghi e non solo – e ci ha condiviso aneddoti su personaggi straordinari del calcio, come il citato nelle righe precedenti Mondonico.

Ringraziamo, pertanto, sia la società che il giocatore per la grande disponibilità e l’opportunità concessa. 

Il protagonista della nostra intervista, foto: Città di Varese

“Partiamo dal settore giovanile del Milan: hai avuto come allenatori Franco Baresi e Filippo Galli. Qual è il più grande insegnamento che hai appreso da loro e com’è stata la tua esperienza nella Primavera del club rossonero?”

“È stata una bella esperienza. Ho fatto nove anni di giovanissimi regionali, poi due mesi con la prima squadra. Ho avuto la fortuna di avere allenatori come Evani, Filippo Galli e Baresi, quindi tre giocatori importanti della storia del Milan che mi hanno insegnato tanto; li devo ringraziare a vita per quello che mi hanno trasmesso soprattutto a livello di valori calcistici. Sono andato via dal Milan e sono entrato nel mondo dei grandi già pronto e preparato, quindi gli devo tanto ed è stata veramente una bella esperienza”. 

“Dopo questa avventura ti sei trasferito a Cremona, in Serie C, dove hai ritrovato un compagno già avuto al Milan, ovvero Davide Astori: com’era il tuo rapporto con lui?”

“Un grandissimo rapporto, perché comunque ci conoscevamo già: lui era già andato via dal Milan ed era già entrato nel mondo dei grandi l’anno prima: era al Pizzighettone, se non mi sbaglio. Poi ci siamo ritrovati: una persona eccezionale, un ragazzo umile con delle qualità immense, infatti fece subito il passaggio dalla C alla A, andando a Cagliari, quindi era già veramente forte come giocatore. Il rapporto era eccezionale già da ragazzi. Siamo cresciuti sullo stesso pullman, perché lui magari andava con quelli più grandi, io con quelli più piccoli, ma il pullman da condividere era lo stesso e da lì si era creato un rapporto di amicizia aperto e sincero. E quello che mi piaceva di Davide è che era una persona umile e normale, non si dava arie: forse questa è stata anche la sua forza. Era un professionista al 100%, ma tutti noi del Milan da quel punto di vista eravamo educati e professionisti. Avevamo una scuola importante, quindi non c’erano dubbi su quello e poi le qualità sul campo erano solo da dimostrare”. 

“Con la Cremonese hai segnato una doppietta contro il Sassuolo di Allegri in un confronto diretto pesantissimo: che emozione è stata?”

“È stata una bella emozione perché comunque avevo 19 anni, eravamo sotto di un punto al Sassuolo. Era una partita serale, di lunedì, perciò un posticipo. Era un match importantissimo, feci una doppietta con un grande assist di Zauli e poi con un tiro da fuori area. L’aneddoto che mi ricordo è che c’era il nostro direttore sportivo – la buon’anima di Erminio Favalli – che, a fine primo tempo, sullo 0-1 per noi, con il mio compagno Brioschi, mi disse:”Non basta un gol: bisogna chiudere la partita, perciò, se c’è la possibilità, bisogna farne un altro”. E io mi sono mentalizzato, ho cercato di farne un altro e ci sono riuscito. Poi ha accorciato le distanze, se non mi sbaglio, Tiboni, però alla fine siamo riusciti a vincere 1-2 e la cosa bella è che abbiamo portato a Sassuolo due o tremila tifosi, quindi è stata una bella serata da ricordare”.

“Restando sempre sulla tua esperienza in grigiorosso, hai avuto come mister Mondonico, uno che, con il Toro soprattutto, ha scritto pagine importanti del calcio italiano: cosa ti rimarrà sempre impresso di lui?”

“Di lui mi rimarranno sempre impresse la sua grande energia e la positività: non era mai negativo. Mi ricordo che all’inizio non sapeva neanche come mi chiamassi, poi alla fine dell’anno, in cerchio, mi prese a braccetto e mi disse:”L’unico che può parlare è il mio pupillo Vitofrancesco”. Mi ha gratificato per l’impegno e il lavoro fatto; è stata una grande persona e un grande personaggio del calcio e lo ricordo veramente con piacere perché comunque mi ha lanciato. Gli sono grato”.

“Dopo aver sfiorato la promozione ai play-off, hai deciso di rimanere a Cremona, tuttavia – complici, magari, anche le mancate permanenze di Sirigu e Astori, oltre all’addio di Mondonico stesso – non siete riusciti a confermare l’andamento positivo dell’annata precedente. Questa stagione, però, è stata forse quella che ti ha aperto le porte alla Serie B: quanto sono stati importanti questi campionati in grigiorosso per te?”

“Io rimpiango sempre il primo anno con Mondonico, perché, andando in Serie B quell’anno, essendo io in comproprietà con il Milan, ci sarebbe stato l’obbligo di riscatto per la Cremonese e, se appunto fossimo stati promossi, quando abbiamo perso la finale dei play-off con il Cittadella, per me sarebbe stata sicuramente un’altra carriera sotto l’aspetto delle categorie, invece poi sono rimasto. Sirigu era in prestito, se non mi sbaglio, dal Palermo; Astori, invece, sempre tramite il Milan, era andato a titolo temporaneo al Cagliari. Infatti Mondonico fece un’intervista in cui disse:”Sirigu, Vitofrancesco e Astori arriveranno a giocare in alte categorie”. E io purtroppo ero legato a un discorso di comproprietà che la Cremonese ha riscattato. Sono rimasto in C, non abbiamo fatto un grandissimo campionato, perché con l’amarezza dell’anno prima è sempre difficile ripetersi: è stato un anno così e così, io ho sempre giocato, è arrivata quest’opportunità di andare a giocare in Serie B a Grosseto e l’ho colta subito. Sono andato, ho sofferto anche lì il primo mese per la differenza di livello del campionato, però poi sono riuscito a ritagliarmi un posto e ho fatto 33 partite su 42, quindi è stato un anno positivo anche quello”.

“A proposito di Grosseto, come hai detto tu, hai disputato più di 30 gare, siete arrivati 7° e, in più, avevi compagni come Pinilla e D’Alessandro: cosa ricordi di più di quell’annata?” 

“Mi ricordo che arrivai al terzo posto come assistman: ne feci 12 o 13 a Pinilla, che è un giocatore straordinario. Al primo posto arrivò Verratti, al secondo Valdifiori e il terzo fui io con 12 o 13. E Pinilla fu capocannoniere, un giocatore straordinario che non sapevamo neanche cosa ci facesse in B. Infatti l’anno dopo andò al Palermo e dimostrò quello che valeva. È stato veramente un bel campionato con compagni davvero forti, come appunto quest’ultimo – D’Alessandro era giovane e “gli avevo anche rubato il posto”, quindi è stata una soddisfazione -. È stato un anno bello perché comunque c’erano squadre come Torino e Lecce, che poi hanno vinto; è stato veramente emozionante sotto l’aspetto degli stadi. Era anche una stagione per capire se potessi starci oppure no e alla fine potevo veramente rimanerci, quindi è stato bello”.

“Dopo un’altra annata con la Cremo, in cui hai giocato anche con Coda, sei tornato meritatamente in cadetteria con la maglia del Cittadella, in una squadra con atleti come Baselli, Di Carmine e Cordaz e ti sei rivelato anche lì una pedina imprescindibile, totalizzando 41 presenze. Che stagione è stata per te? Inoltre, hai fatto gol all’esordio, quindi anche quella che emozione è stata?”

“Ho fatto gol all’esordio in B contro l’Albinoleffe sotto l’incrocio. So che ho ancora il record di presenze: ho giocato 41 partite su 42, quindi sono sceso in campo in quasi ogni match, da terzino, da mezz’ala… Avevo dei compagni che con il passare degli anni si sono dimostrati veramente importanti, ma, come dicevo prima, avevano dietro squadre importanti che li aiutavano anche sotto quel punto di vista. Io mi ricordo che Baselli il primo anno non aveva quasi mai giocato, il secondo ha trovato molta continuità, poi c’era Biraghi a sinistra, Cordaz in porta, Di Carmine… Mi ricordo che quell’anno ci siamo salvati con tre giornate d’anticipo e, pensandoci, se fossimo in B al giorno d’oggi con quella squadra andremmo ai play off, quindi questo fa capire che si è anche abbassato un po’ il livello tecnico del calcio, ma magari è aumentato quello fisico. Però anche quelli sono stati due campionati belli in cadetteria, forse al top della carriera perché comunque avevo 23 anni ed è stata una grande stagione anche quella”.

“Cos’hai provato – e quanto è stato difficile – marcare Insigne, nella partita contro il Pescara di Zeman, che, tra l’altro, aveva anche un certo Immobile, oltre che Verratti a centrocampo?”

“Diciamo che per le mie caratteristiche non è stato molto difficile. Non per fare il più grande e grosso, però, essendo della stessa statura e della stessa rapidità, ho fatto meno fatica rispetto ad altri difensori un po’ più fisici e alti, perché comunque Insigne è un giocatore veloce, quindi riuscivo a tenergli il passo, però ovviamente quando si girava e calciava in porta era tosto. Mi ricordo che con il Pescara abbiamo perso 1-2 in casa nostra con un gol proprio suo sotto l’incrocio a giro, invece da loro siamo stati sconfitti 1-0 in una gara che dovevamo vincere noi 0-4 o 0-5, però abbiamo sbagliato 4 o 5 gol a tu per tu con il portiere. Loro avevano la difesa alta, perciò riuscivamo sempre ad andare in porta ma non siamo stati capaci di finalizzare e alla fine abbiamo perso 1-0 con firma di Sansovini. C’erano atleti come Insigne e Immobile che non erano ancora maturi come li vediamo oggi, ma erano già ottimi giocatori; c’era Verratti che, come dicevo prima, fu il miglior assistman del campionato e infatti poi il Pescara ha vinto il campionato perché tutti quei giocatori avevano delle qualità immense”.

“Nel tuo secondo anno al Cittadella c’è stata una squadra formidabile, ovvero il Sassuolo, che ha vinto il campionato con giocatori come Magnanelli, Berardi, Missiroli, Pavoletti, Falcinelli e non solo. Voi tuttavia, siete riusciti a battere quella formazione per 1-0 all’andata: come vi siete sentiti?”

“Noi eravamo una squadra molto fastidiosa per tanti: abbiamo dato filo da torcere a tante formazioni forti come Sampdoria, Torino e – come dicevi tu – Sassuolo. Eravamo un undici ostico, sicuramente ci mancava qualche giocatore di esperienza e di categoria, però abbiamo messo in difficoltà tutte le squadre, questo me lo ricordo. È stata veramente una bell’annata proprio per questo motivo. Poi è normale che in Serie B, in cui le partite sono tante, una squadra come il Cittadella che magari non si può permettere una rosa ampia, arrivi un po’ corta con infortuni e altro. Quindi alla fine salvarsi era la soluzione più giusta”. 

“Dopo questa bell’avventura sei approdato a Perugia, in Serie C, una squadra che ha dominato il campionato, perdendo solo 4 volte. Quanto è stata bella quell’esperienza? Ti aspettavi nuove proposte dalla B a fine stagione?”

“Me le aspettavo sicuramente subito dopo Cittadella: non pensavo di ritornare in C dopo aver fatto 41 partite su 42, 3 gol e 33 o 34 presenze l’anno dopo. Mi aspettavo di rimanere in B, invece in quell’anno ho cambiato procuratore perché non mi ha proposto squadre in cadetteria in cui rimanere, dunque ho optato per andare in C a Perugia, una grande piazza che puntava a vincere il campionato per poi ritornare in seconda divisione. Ci sono riuscito, però poi la società ha fatto delle scelte diverse: ci hanno mandati via in tanti per cambiare un po’ e lì abbiamo vinto il campionato, io ho giocato 30 partite, sempre come quinto o terzo, o come “play” o mezzala. Ho trovato squadra – se non mi sbaglio – il 13 agosto, quindi ero rimasto a casa l’estate – non ho fatto il ritiro – e in quel momento non sapevo cosa fare per riguadagnarmi la categoria, però poi fortunatamente è arrivata l’Alessandria, in cui c’era Magalini, un direttore che mi conosceva dai tempi della Cremonese e, appena ha saputo che ero a casa, mi ha preso e mi ha subito fatto due anni di contratto”.

“Sei approdato poi all’Alessandria appunto, in cui c’era un allenatore che, non a caso, oggi è in Serie B, ovvero D’Angelo. Cosa ti ha colpito di più di lui come allenatore? 

Invece, nella seconda stagione lì hai giocato con Celjak – capitano del Lecco nella scorsa stagione -, Marras – oggi al Cosenza -, un bomber come Fischnaller e Simone Branca – oggi capitano del Cittadella in B -. Quanto potenziale aveva quella formazione? Ti senti onorato di aver indossato la fascia da capitano più di una volta in quel campionato?”

“Nel primo anno con D’Angelo, eravamo l’Alessandria salita dalla C2, quindi era una formazione allestita per cominciare a interpretare la Lega Pro. Noi abbiamo fatto un buon campionato, sfiorando i play off proprio all’ultima giornata e ricordo con piacere questo mister perché è stato, oltre che allenatore, un uomo d’altri tempi, quindi sono contentissimo della carriera che sta facendo. Nella stagione successiva abbiamo iniziato a costruire la squadra per puntare a vincere e sono arrivati giocatori come Marras, Fischnaller, a gennaio anche Iocolano, Branca, Marconi, Bocalon: una rosa importante e forte. Abbiamo raggiunto un risultato, secondo me, storico, che era quello della semifinale di Coppa Italia, con Juve, Inter, Milan e Alessandria. Peccato che siamo usciti in semifinale dei play-off con il Foggia di De Zerbi, che era molto più forte di noi per il calcio che giocava. Però è stata sicuramente un’annata positiva e indossare la fascia è stato emozionante e bello perché comunque fare il capitano di una squadra così forte non è mai semplice. Ma avevo tanti leader, quindi è stato più facile gestire alcune situazioni e alcune pressioni”.

“Come vive un ragazzo che ha giocato in Serie B il passaggio dai professionisti ad una categoria comunque molto complicata, quale la Serie D, ma in Italia meno valorizzata?”

“Bisogna scendere con la mentalità giusta. Fortunatamente sono stato in piazze già mentalizzate, come Casarano, Varese e Cerignola, che erano state nel professionismo, a parte Lavello, però anche lì non mi è mancato niente perché comunque era una società che puntava a vincere. Bisogna scendere essendo più aperti ad alcune dinamiche, perché si vedono alcune cose che sono ancora da dilettantismo, però con i modi giusti e l’unione di intenti si può sempre migliorare e fortunatamente sono sempre stato in club che volevano migliorarsi. Ad oggi sono in una società storica del mondo del calcio, che non posso neanche mettere sul piano del dilettantismo, perché comunque sono già pronti e preparati per le categorie superiori. Questo è il nostro obiettivo. Bisogna scendere con la voglia di migliorare sia l’ambiente che altri ragazzi giovani, perché altrimenti si rischia di fare brutte figure”.

“Considerando la tua esperienza, cosa pensi della regola del minutaggio dei giovani in Serie D? Pensi che sia una regola corretta?”

“Io non penso che sia una regola corretta, perché ritornando ai miei tempi in Serie C, non giocava chi era più piccolo per prendere dei soldi o per guadagnare del denaro: scendeva in campo chi era più forte, chi era più bravo e chi si meritava il posto. Quindi sono un po’ contrario a questa regola, anche perché poi succede che l’atleta si fa giocare solo perché è Under e, appena finisce il suo momento in questa categoria legata all’età, non può più giocare a calcio. E magari ha tralasciato altre cose come studio e lavoro, quindi non si possono sfruttare questi ragazzi solo perché sono giovanissimi: si scelgono perché sono forti, quindi io chiamo il giocatore perché è forte, ha prospettive interessanti e lo mando in campo. Io sono di questo parere, ma non perché dia fastidio a noi grandi, anzi, perché è controproducente nei confronti dei giovani: una volta che non sei più Under, finisci nel dimenticatoio, magari non hai finito gli studi e rimani a casa solo perché appunto non hai più gli anni per rientrare negli Under. Ora hanno diminuito un po’ questa regola: ne hanno messi 3  invece che 4; sicuramente le squadre si rinforzeranno e, secondo me, si alzerà anche un po’ il livello. Il giorno in cui toglieranno questa regola, le prime 4 o 5 di ogni girone di Serie D non faranno fatica in C. Questo è il mio pensiero. Si alzerà il livello, perché magari la gente invece di andare in una squadra che in Serie C fa fatica, andrà in una squadra che in una categoria più indietro punta a vincere il campionato e ha più prospettiva. E tanti sono penalizzati, come me, per questioni di velleità. Io in questi ultimi anni fortunatamente ho trovato squadre che mi hanno fatto giocare nel mio ruolo ma tante volte mi sono dovuto adattare. Ecco qual è la difficoltà nello scendere di categoria: adattarsi ad alcune dinamiche, essere sostituito perché deve entrare un Under e molte altre cose che nel calcio vero non ci sono. Quindi non capisco perché questo sport non debba essere uguale per tutte le divisioni”.

“Quasi tutte le volte che hai giocato con questa squadra hai indossato la fascia da capitano: cosa si prova ad avere questo riconoscimento, che è stata forse l’unica cosa che ti è mancata nella maggior parte delle piazze precedenti, dove comunque ti sei sempre messo a disposizione?”

“Innanzitutto è un onore e un privilegio indossare la fascia da capitano in ogni piazza e in una come Varese secondo me vale anche doppio perché hai una responsabilità sia dentro che fuori dal campo. La cosa che mi premeva di più appena l’ho indossata era immedesimare i miei compagni nel mio modo di essere: non volevo che diventassero come me, ma volevo che avessero la mia stessa educazione, umiltà, la mia stessa dedizione allo sport… E posso dire di esserci riuscito, perché ovunque siamo andati ci hanno giudicati come ragazzi educati e quello mi interessa più di tutto, perché quando indossi la fascia sei un esempio per tutti. Ed era quella la mia più grande missione. Poi siamo riusciti anche ad ottenere un grande risultato – il terzo posto -, perché comunque non era scontato essere ripescati dall’Eccellenza, cambiare quasi tutti i giocatori e arrivare così in alto in classifica – a non tanti punti dall’Alcione, che aveva fatto una programmazione di tre ann -i. Secondo me, è stato veramente un successo, che si raddoppia quando la società vuole confermare una buona ossatura, perché ha visto che ragazzi siamo e quello è un successo che rispecchia ciò che volevo fare io. È anche un trionfo per me, perché vuol dire che sono riuscito a fare immedesimare i miei compagni nel mio modo di essere. Questo è stato il privilegio e la cosa bella di quest’anno”.

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