Luglio 27, 2024

Il terzo tempo

"When the seagulls follow the trawler, it is because they think sardines will be thrown into the sea"

Di cosa si occupa un match analyst? La nostra intervista ad Italo Pascale

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Un tempo c’era il taccuino, la matita e il colpo d’occhio, magari qualche rara fotografia. Oggi la preparazione di una partita passa da un complesso lavoro di analisi di video e dati sulla propria squadra e, soprattutto, sugli avversari, per scoprire tattiche e segreti altrui e migliorare le proprie prestazioni. Sempre di più il match analyst è protagonista del successo di una squadra, utilissimo anche in fase di mercato. Abbiamo parlato di tutto ciò con Italo Pascale, che si occupa di quanto detto al Renate, squadra di Serie C che, attualmente, si trova in nona posizione in classifica. Ci ha svelato qualche segreto della sua professione, ora ad alta tecnologia, partendo da quando lavorava per le giovanili del Milan ed arrivando ad oggi. 
Ci teniamo a ringraziare sia la società che Italo Pascale per averci permesso di realizzare quest’articolo.

“Parlaci del tuo lavoro: di cosa si occupa un match analyst nello specifico e come funziona?”

“Ciò di cui si occupa dipende dalle richieste della società. Solitamente, un match analyst si occupa di video e quindi di tutta la parte legata a ciò: studio dell’avversario e della propria squadra, sia negli allenamenti che nelle partite. E poi abbiamo quel lato su cui magari non tutte le società lavorano, ovvero i dati: ci sono i top club, in cui tutti lavorano su quest’ultimo aspetto e quindi hanno anche, oltre ai match analyst, i data analyst, che vanno a completare il “reparto”. Noi, in Lega Pro, lavoriamo molto meno sui dati, come magari possono fare in Serie A o B, però, comunque, ce ne occupiamo. Abbiamo anche un software. Quindi dipende dal tipo di società in cui vai, che tipo di risorse hai e cosa ti mettono a disposizione: se ti mettono a disposizione dei software che si occupano di dati, il lavoro di video può essere incrementato e quindi va a completarsi con quello dei dati. Altrimenti, ci si occupa soltanto della parte video. Come dicevo prima, ripresa partita e allenamenti e poi analisi delle situazioni di gioco, quello poi va in base all’allenatore e in base alle richieste che ha il mister”. 

“Sapresti fornirci una panoramica sull’evoluzione del ruolo del match analyst?”

“Sicuramente c’è stata un’evoluzione, ci sono anche delle realtà piccole che cercano di “modernizzarsi”, quindi utilizzare strumenti all’avanguardia, telecamere all’avanguardia. Poi c’è chi si arrangia come può, magari non disponendo di tutto ciò, ma il fine è lo stesso: studiare la propria partita o analizzare gli avversari. Sicuramente è cambiato, perchè, se penso agli alti livelli, siamo partiti con l’avere 1-2 match analyst, adesso ci sono società che lavorano con 7-8 di queste figure. Magari c’è il videoanalista che si occupa della fase di possesso, quello che si occupa della fase difensiva, quello della fase di non possesso… Ci sono anche figure che si occupano soltanto dei piazzati. Io ho avuto la fortuna di lavorare al Milan qualche anno fa e quindi diciamo che non ho dovuto fare la “gavetta”, perché sono partito subito da lì; questo è il quarto anno di Lega Pro. Ti rendi conto di come appunto la situazione si sia evoluta. Ed è ancora in evoluzione, poiché poi ogni anno si cerca di migliorare il lavoro. Per cui, magari, in un top club, i videoanalisti  sono sempre 8-10, magari l’anno prossimo saranno sempre quelli, ma il lavoro sarà diverso e quindi sempre più accurato e dettagliato. Quindi, sicuramente, è cambiato: tanti anni fa i dati si prendevano, ovviamente, tramite un foglio di carta e una penna, con cui si segnavano i tiri in porta e tutti gli eventi possibili e immaginabili, che magari si potevano ricavare; adesso questa cosa è meccanica, perchè ci sono i software che lo fanno per noi. E dunque anche questo ci fa capire l’evoluzione di questa disciplina. Possiamo capirlo anche da quanti software e aziende ci sono oggi che si occupano di analisi e dati; un indice di quanto appunto la disciplina si stia evolvendo”. 

“Visto che hai citato il Milan, nel dettaglio, che tipo di lavoro hai svolto con quella società così grande e organizzata?”

“Io sono partito da lì facendo il match analyst delle categorie giovanili, quindi ho avuto modo di rapportarmi con diversi allenatori, tra cui quelli dell’attività di base e quelli dell’attività agonistica. Si parlava di ragazzini che, sostanzialmente, giocavano a calcio a 5, a 7, a 9, fino ad arrivare all’Under 17 o all’Under 18, quindi la categoria prima della Primavera. E, ovviamente, le mansioni sono diverse, perché le richieste sono diverse. Quando ci si approccia ad una squadra di under 17 o 18 diventa più chiave come ruolo, un vero e proprio ruolo da tattico e quindi è più sulla disciplina. Se si lavora, invece, con i ragazzini, di età pre-agonistica e attività di base, gli obiettivi sono diversi, magari ci si va a concentrare di più sulle posizioni e sulle posture, piuttosto che sul discorso tattico. Questo è un po’ quello che cambia”. 

“Come ci si avvicina a questo mondo? Come mai ti affascina così tanto l’aspetto tattico?”

“Sicuramente, adesso, ci sono tanti enti di formazione che rilasciano certificazioni e poi deve anche essere un po’ una passione. Chi ha la passione dell’allenatore credo che abbia la passione per il videoanalista, ovviamente c’è più gavetta da allenatore che da videoanalista, per arrivare ai massimi livelli. Questo perché, comunque, il videoanalista è un lavoro di aiuto, di supporto, che non va mai a scavalcare l’allenatore e quindi anche per questo è bello. Però è anche un po’ l’ago della bilancia, visto che, comunque, ci sono persone che vogliono farsi aiutare, ma non vogliono farsi superare, quindi vogliono essere allenatori e basta, vogliono andare dritto per la formazione da allenatore. Io ho intrecciato, per esempio, i corsi da videoanalista con quelli da allenatore, poiché poi, alla fine, si diventa un collaboratore tecnico, perchè c’è magari l’annata in cui bisogna stare soltanto attenti a lavorare sui video e l’annata in cui ci si trova a lavorare sul campo, perché è il luogo in cui il mister, magari, ha bisogno. Per cui diverse situazioni che si vedono nei video poi, sul terreno di gioco, vengono riproposte. Quindi un mister ha bisogno del match analyst anche sul campo, però, ecco, dipende sempre molto da lui e dal rapporto che si crea con l’allenatore. Vado, dunque, al punto della domanda: ci si avvicina formandosi e avendo una grande voglia di mettersi in gioco, poi, ovviamente, i canali non è facile trovarli da solo, tante volte ci si deve affidare a qualcuno, oppure, alcune società, soprattutto in Serie A, magari aprono delle posizioni. Così facendo, si può proporre un curriculum e si ha non la fortuna, ma comunque uno spiraglio, quindi il tentativo di andare a provare un’esperienza in questa società. Se poi va bene ci si ritrova a fare qualcosa che si vuole, perché poi, alla fine, è anche una passione, per cui tutto quello che c’è di difficile, se c’è appunto la passione, diventa più leggero e facile”. 

“Quante volte e come avviene il confronto con Mister Pavanel?”

“Il confronto è costante, perché, comunque, nello spogliatoio parliamo tanto e c’è un lavoro di staff, quindi il confronto sempre, prima e dopo l’allenamento, in base a quello che noi vogliamo fare la domenica, poi, alla fine della seduta, ci confrontiamo in base alle sensazioni che abbiamo. Però il confronto c’è, deve essere la chiave di tutto per lavorare in sinergia tra lo staff. Se manca il confronto, manca condivisione, mancano idee, quindi diventa tutto più difficile”. 

“Oltre ai risultati favorevoli, cosa vi dà, a livello di gioco, il 4-3-3, che, praticamente, non avete mai cambiato?”

“È un sistema di gioco che, comunque, va a definire dei triangoli di suo. È stata anche una squadra costruita per il 4-3-3, quindi con esterni forti e, diciamo “per forza di cose”, abbiamo provato a prendere questa strada, quindi ci siamo dentro al 100%. Abbiamo cambiato poche volte e l’abbiamo fatto in base allo studio dell’avversario e, però, ecco, il caposaldo è il 4-3-3, perchè ci dà solidità difensiva e, comunque, anche prolificità davanti”. 

“Secondo te, quali sono le caratteristiche che contraddistinguono il gioco del Renate?” 

“È una squadra attendista quest’anno, ma che sa pungere, nel senso che è molto equilibrata, quindi solida dietro, e che sa gestire i momenti della partita. Sapendo controllare questi ultimi, poi, soprattutto se si è bravi a non prendere gol, poi possono capitare diverse occasioni per vincerla. Però si parte da una grande solidità difensiva, sicuramente”.

“Qual è stata quest’anno la partita più complicata da analizzare?”

“Sicuramente il Vicenza è una squadra che dà pochi punti di riferimento, quindi siamo stati bravi, meticolosi a preparare la partita, con tutte le rotazioni del caso che facevano loro. Questo perché è una squadra che non dà per niente punti di riferimento ed è in continua rotazione. Siamo stati bravi a preparare i riferimenti anche dinamici e non statici e quello ci ha dato sicuramente la forza per prolungare la partita e poi colpire, come dicevo prima, al momento giusto”. 

“Ti capita mai di imbatterti in giocatori che magari reputi perfetti per il vostro stile di gioco e che quindi, magari, dopo un confronto con il direttore sportivo, provate ad ingaggiare?”

“Insomma, i ragazzi, nel corso di un’annata, possono cambiare. Ci sono dei momenti come nelle partite anche nelle stagioni. Ci sono dei momenti in cui il calciatore ha fiducia nei propri mezzi e che spinge di più e gli rischiano le giocate, mentre ci sono altri momenti in cui non riesce a dribblare, ad attaccare la palla o a difendere. Quindi vanno valutati per bene, bisogna essere molto bravi e poco frettolosi nel giudicare i ragazzi, perché anche noi abbiamo avuto dei ragazzi – e ce ne sono di veramente bravi – che magari subiscono il momento, oppure un infortunio o una situazione che avviene fuori dal campo. E quello è molto importante, quindi il ragazzo va aspettato, va recuperato e poi, sicuramente, va messo in condizione di poter dare tutto e di poter fare bene”. 

“Qual è stata la tua più grande intuizione che, una volta messa in pratica in campo, ha fatto la differenza?”

“Magari, quando si prepara la partita, ci si aspetta che gli avversari facciano quello che abbiamo preparato. Poi anche loro ci studiano, quindi bisogna preparare una contromossa, quindi la cosa importante, fondamentale, è costruire questa contromossa, perchè è una seconda arma per far male all’avversario a livello tattico. Poi sono sempre i ragazzi che vanno in campo e che interpretano tutto: se lo fanno al meglio, allora rendono al meglio e vuol dire che quell’intuizione ha portato bene; se “viene meno” il risultato, viene anche meno l’intuizione o il pensiero della contromossa”.

“Visto che hai detto che l’analisi tattica è una tua vera e propria passione, oggi ci sono i vari Guardiola, De Zerbi, Klopp… c’è uno stile di gioco di un allenatore che ti piace particolarmente?”

“Più di uno: messi insieme sono tanti. Sicuramente le cose che mi colpiscono di più sono la riaggressione alta della palla e avere una squadra corta e alta e che lavora tanto sulla riaggressione. Poi il possesso è parte del giocatore, è parte dello studio tra allenatore e staff, però va tanto al calciatore. Preferirei il gioco dal basso e la costruzione, ma ripeto: quello che prediligo è la riconquista immediata della palla, soprattutto nell’area avversaria”. 

“Vi aspettavate di cominciare così bene il campionato? Qual è l’elemento che vi sta facendo fare così bene?”

“Ce lo aspettavamo sì, perchè è una squadra forte, costruita per stare nelle prime 6 della classifica. Quindi me lo immaginavo, perchè i ragazzi si stanno impegnando e, come dicevo prima, un elemento chiave è la solidità difensiva”. 

“Quanto è complessa l’organizzazione di una società professionistica?” 

“Tanto, perché comunque ci sono più ruoli e, soprattutto, sono definiti. Però, per quanto complessa, è più organizzata, poiché, appunto, ognuno ha il suo ruolo; quindi, se ognuno ha il suo compito e non interferisce in quello dell’altro, allora vuol dire che c’è organizzazione”.

“Cosa ne pensi della valorizzazione dei giovani in Serie C?”

“È un aspetto positivo per il calcio in generale, ma soprattutto per loro, perchè hanno la capacità di mettersi in mostra subito, quindi, quando escono dalla “parte giovanile” – la chiamo così – hanno la capacità di confrontarsi con quella che è poi la realtà e, soprattutto, ci si rende conto se si è fatti per quella categoria oppure no. Quindi, se già si fa la differenza in Serie C, vuol dire che già un ragazzo viene catalogato per un’altra categoria, perchè queste esistono per questo. Ci sono giocatori di Serie A che giocano in Serie A ed è giusto che giochino in Serie A e ci sono altri che militano in B, eccellenza o promozione, perchè è giusto che – non tutti, perchè, come ho detto prima, possono capitare molte cose a un ragazzo, all’interno di una stagione – siano lì. Però le qualità e le caratteristiche del giocatore ci sono e sono diverse dal calciatore di massima categoria a quello di Serie C o D, quello sicuro”. 

“Ultima domanda – un po’ diversa dalle altre -: cosa ne pensi della strategia di mercato del Milan, ovvero andare ad estremizzare la teoria “money ball” e seguire meno l’intuito degli scout? Il fatto di basarsi quasi solo esclusivamente sulle statistiche nel calciomercato, senza contare anche gli aspetti emotivi del gioco, che effetti può dare nel lungo periodo?”

“Io non credo che gli acquisti siano fatti guardando soltanto le statistiche. Sicuramente la statistica è un indice e ti dice qualcosa del giocatore, però poi non ci credo che sia soltanto frutto della statistica. Questo perchè, a quei livelli, ognuno è studiato e visionato ai minimi dettagli, quindi non sono soltanto derivanti da numeri o statistiche, quanto di visione a 360° del giocatore, il quale poi, portato in un determinato contesto, può avere dei pro, ma anche dei contro. Però, ecco, non credo al totale investimento a livello statistico, questo è sicuro”. 

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