Ottobre 3, 2024

Il terzo tempo

"When the seagulls follow the trawler, it is because they think sardines will be thrown into the sea"

”Qui davvero mi sento a casa” – La nostra intervista a Lorenzo Libutti

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Abbiamo avuto la fantastica occasione di intervistare Lorenzo Libutti, esterno destro della Reggiana che ha collezionato oltre 100 presenze in maglia granata, ma che è, ancora prima di un grande campione, una meravigliosa persona. Con questa lunga chiacchierata, abbiamo rivissuto la sua esperienza a Reggio Emilia, cominciata nel 2019 – grazie ad un messaggio di Mister Alvini su Facebook – ed in corso ancora oggi. Abbiamo trattato diversi argomenti, come la prima stagione in Serie B – compreso il gol stupendo contro il Venezia -, il periodo di Diana e l’emozione provata una volta tornati in cadetteria, con qualche curiosità anche sul campionato di quest’anno. Ringraziamo vivamente, pertanto, l’Associazione Calcio Reggiana, per averci permesso di realizzare quest’articolo, e l’atleta – talmente gentile da portare la divisa da gara utilizzata contro il Brescia, dicendo:“Ti ho portato un pensierino: mi sono tenuto la maglietta dell’ultima partita” – per essere stato appunto così gentile e disponibile con noi. 

Foto: AC Reggiana

Foto scattata alla fine dell’intervista

“Indossi la maglia granata da parecchio tempo, sei un idolo per tanti tifosi e hai conquistato degli obiettivi storici, come la promozione in Serie B. Cosa rappresenta Reggio, per te?”

“Sono arrivato qui 5 anni fa e non mi sarei mai aspettato di stare qui per così tanto tempo. All’inizio, abbiamo firmato un contratto di 3 stagioni, perchè, con il procuratore, ormai, ho un bel rapporto, che va avanti da tanti anni, e ho sempre detto che mi fanno un po’ paura i cambiamenti, quindi avrei voluto fare un po’ più di un anno. Siamo, quindi, riusciti a farne 3, poi, di anno in anno, si è rinnovato; l’anno scorso, con la promozione, si è rinnovato in automatico. Però, fin da subito mi sono trovato bene: loro erano stati appena ripescati dalla Serie D, quindi un ambiente completamente nuovo, tutti ragazzi nuovi, una società nuova, con soci nuovi. Subito una bella e grande famiglia, tanto che mi sono ambientato appena arrivato. Ero un po’ preoccupato, perché, appunto, i cambiamenti mi spaventano un po’, tuttavia è andato tutto bene sin dall’inizio: abbiamo creato delle belle amicizie, che poi, per i 3 anni, ci siamo portati sempre dietro. Quest’anno hanno cambiato un po’ la squadra, però devo dire che, secondo me, scelgono giocatori proprio apposta: tutte brave persone, dunque anche quest’anno c’è un gruppo speciale; è una fortuna che io sia arrivato qui. Il caso ha voluto così: non era nei programmi, perché il procuratore stava trattando dopo Trieste, dove non mi avevano rinnovato il contratto, con il Teramo e altre squadre. Poi ho trovato un messaggio di Alvini su Facebook, addirittura – nelle richieste, l’ho visto dopo un po’ -, lui ha contattato il procuratore e all’ultimo si è creata questa situazione. Per fortuna, è andata bene”. 

“Il traguardo delle 100 presenze con la Reggiana: quanto sei orgoglioso di ciò?” 

“È stata un’emozione grande, bella. Qui davvero mi sento a casa, poi, anche con i tifosi, c’è un bel rapporto, però, forse, è anche troppo l’affetto che mi danno, che mi mostrano: non so se me lo merito tutto. Spero, comunque, di farmi trovare sempre pronto, nelle situazioni che si verranno a creare, quando ci sarà bisogno di me. Spero di dare sempre tutto per questa maglia, fino a quando ne avrò l’opportunità”.

“Dal 2019 ad oggi: quali sono i momenti che non dimenticherai mai di questa tua avventura con la Reggiana? C’è un desiderio che vorresti che si avverasse, o un traguardo che vorresti raggiungere?”

“Sicuramente le due promozioni sono i ricordi più emozionanti. Poi, comunque, abbiamo vissuto anche il periodo del Covid che ci ha uniti ancora di più: mi ha legato ancora di più con questa città, con questi ragazzi. Devo dire che anche la retrocessione dalla B è stata dura da accettare, però, comunque, è servita, perchè l’anno dopo, subito, ci ha uniti ancora di più, per ripartire. Avevamo tanta voglia di andare su e, per fortuna, dopo due anni ce l’abbiamo fatta. Il sogno sarebbe, magari, arrivare un domani in Serie A con la Reggiana”. 

“La prima stagione in Serie B è stata un’esperienza travagliata, a causa, magari, anche del Covid, tuttavia, c’è qualcosa che ti porti dietro di quel campionato? Magari il gol con il Venezia…”

“Non avevo mai fatto la B fino a quel momento e non sapevo neanche se mi avrebbero tenuto, per disputare quella stagione. Però è stato tutto veloce, perchè i play-off si sono disputati verso fine luglio e dopo due settimane è cominciato il ritiro della B. Quindi, siamo rimasti e io ho detto solo: “È un campionato difficile, non so se sarò all’altezza, cerco di godermelo giorno per giorno”. Dopodiché, il Covid: è stata un’annata strana, tutta a porte chiuse, un po’ tutto particolare. Infatti, dopo quell’anno particolare, fare la Serie B quest’anno è come farla, in effetti, per il primo anno. Poi è arrivato il gol a Venezia, mi ricordo un particolare. Avevo fatto tanta amicizia con Gyamfi quell’anno, a fine riscaldamento facciamo i tiri: io non calcio mai, di solito faccio gli allunghi. Lui, in quella partita, mi ha detto:

“Dai, fai un tiro: prova, giusto così, prima della partita”. 

Vabbè, ho tirato e si vede che poi mi era rimasta quell’immagine: appena mi è arrivata la palla ho calciato, in partita, e, per fortuna… È stato un caso, non succederà più spesso un gol così”. 

“Il ritorno in Serie C: cosa ti ha trasmesso Diana di particolare? Queste due stagioni quanto sono state significative, per te, anche per tornare in B?”

“È stato importante andare in B, poi fare un passettino indietro, per conoscere, comunque, Diana, che avevo già avuto a Melfi, in una piccola esperienza: era stato lì 4 mesi, quindi un pochino già lo conoscevo. Diciamo che ogni mister che c’è stato ha portato delle idee particolari, diverse. Quindi con ognuno c’è stata un’esperienza diversa e sento che sono migliorato tanto, perché ho preso un po’ da tutti. Dunque, è stata una fortuna poter lavorare con tanti allenatori, portatori di idee diverse, tutte particolari, tutte belle da provare. La C è un campionato difficile: non è scontato vincerla, infatti, il primo anno avevamo fatto tutti quei punti – 86 -, ma non sono bastati. Però, sono contento di aver fatto anche tanta Serie C, perchè, così, mi gusto un po’ di più il viaggio: ho fatto un anno in Serie D, poi la C, mi piace fare così, a step, piano piano. Nella B non ci speravo, la vedevo come una cosa troppo complicata, però adesso ci siamo: proviamo a godercela tutta fino in fondo”. 

“Continuando a parlare dell’anno che vi ha portato alla promozione, ci sono state tante partite significative, anche se hai dovuto saltarne diverse, per via di un infortunio al perone. Come hai vissuto le partite principali, lontano dal campo? Anche perché, in un messaggio, mi avevi scritto:”Seguire la squadra dalla tribuna è un’emozione ancora più bella”

“Sì sì, in effetti, io penso che le cose non arrivino mai per caso. E, lì per lì, all’inizio, è stato un po’ difficile, quando ho saputo come erano andate le visite e che avrei dovuto rispettare un lungo stop: non sarei più rientrato per il resto del campionato. Però, poi, ripensandoci, ho detto: “Forse non è proprio andato tutto male”, perché mi ha fatto capire ancora di più quanto sia bello e speciale stare qui, in quest’ambiente, in questa squadra. Ho visto le partite da fuori, col pubblico, con i tifosi: l’ho vissuta un po’ più con loro. Quindi, da un lato mi è dispiaciuto aver saltato quella parte, ma dall’altro sono ancora più contento, perché porto un’esperienza ancora più bella. Vedere i ragazzi da fuori, giocare: mi sono reso conto ancor di più di quanto fosse forte la squadra, di quanto impegno ci mettessero i compagni – vedevo gli allenamenti – e poi di quanta passione e di quanta sofferenza ci fosse nel pubblico, nei tifosi. Mi ricordo che, alla fine, l’Entella aveva recuperato tutti quei punti e ci aveva superati: c’era gente che piangeva. Perché noi, in campo, non ci rendiamo conto delle emozioni che ci sono intorno, invece sono contento di quel periodo, che mi ha fatto capire ancora di più quanto sia speciale questo ambiente”. 

“E, proprio quando l’Entella ha superato la Reggiana in classifica, che clima c’era nello spogliatoio? Una volta conquistata la Serie B ad Olbia, cosa avete provato? E i festeggiamenti a Reggio, una volta tornati?” 

“C’è stato uno spavento incredibile, perché siamo stati primi tutto l’anno, poi, all’ultimo, clamorosamente, ci siamo trovati a pari punti, però loro erano in vantaggio per gli scontri diretti, quindi non riuscivamo a capacitarcene, soprattutto dopo l’esperienza dell’anno prima, che ci aveva costretti a ripetere il campionato, nonostante i tanti punti ottenuti. Ripetere quest’esperienza sarebbe stato tremendo, per fortuna, poi, quella dopo l’abbiamo vinta e loro hanno subito pareggiato e siamo ripassati avanti. Però, dentro di noi, sapevamo che non poteva finire diversamente: ormai avevamo già immaginato tante volte il finale e, in effetti, è andata così. Poi, ad Olbia, un’emozione grande, infatti siamo andati tutti – anche infortunati -, perchè abbiamo detto: “Non si sa mai” e, in effetti, è andata così. Un’esperienza troppo bella, poi i festeggiamenti sono stati bellissimi; inoltre, è venuta la mia famiglia: ricordi che rimarranno sempre dentro di noi”. 

“Passando, dunque, a questa stagione: il derby con il Parma e la gara di Coppa Italia contro il Genoa, in cui, se non sbaglio, indossavi la fascia da capitano?”

“Con il Parma, io non mi aspettavo di giocare. Infatti, siccome sono destro, quando il mister ha dato la formazione, ho guardato spontaneamente a destra. Ho visto che non c’ero e ho detto: 

“Vabbè, sì, ci sta, è una partita importante il derby”. 

Poi ho spostato lo sguardo a sinistra e, invece, giocavo a sinistra, perché eravamo in emergenza e quindi ho giocato su quella fascia. Stadio tutto pieno, ci aspettavano tutti i tifosi all’arrivo del pullman. Io non avevo mai giocato il derby, però Rozzio e quelli che sono qui da tanti anni, come Michi Malpeli, Matteo Ferri, il magazziniere, e tutti quelli che sono qui da tanti anni ci avevano raccontato un po’, ma viverlo in prima persona è stato davvero emozionante. Per fortuna, abbiamo fatto una bella partita: abbiamo portato a casa un bel punto. Un’emozione grande, speriamo adesso, al ritorno, sia con il Modena che con il Parma, di chiudere bene in casa. Poi, in Coppa Italia, con il Genoa, pure lì un’esperienza bella. Il Marassi non l’avevo mai visto, penso che sia uno degli stadi più belli. Non me l’aspettavo così bello, perchè, dalla TV, le telecamere sono su e sembra molto più dispersivo, invece è proprio all’inglese, tutto attaccato; esperienza bellissima. Alla fine, in quella partita, ha fatto il capitano Lanini: avevano sbagliato a scrivere la distinta. Ho fatto il capitano in casa con il Brescia, perché erano usciti Paolo e Ciga e, allora, hanno dato la fascia a me e prima ancora anche a Toano, in ritiro. È un po’ pesante quella fascia: non me la sento proprio a mio agio, anche perchè fare il capitano non è da tutti, è una responsabilità grande. Però, sicuramente, è stata un’emozione grande grande. Io cerco di prendere spunto da Paolo, da Ciga e dai ragazzi un po’ più esperti, però a loro sta molto meglio e quindi è giusto così”. 

“Sapresti fare un confronto, magari sia sotto l’aspetto tecnico-tattico che sotto quello umano, tra Alvini, Diana e Nesta?”

“Tutti e tre propongono un gioco propositivo, in cui noi vogliamo sempre fare la partita: vogliamo avere palla, il dominio del gioco. E poi, caratterialmente, sono uno un po’ diverso dall’altro, però la cosa che accomuna tutti e tre è la passione che hanno: arrivano prima di tutti al campo e preparano gli esercizi. La passione che hanno per questo sport – e tutti e tre ce l’hanno trasmessa – non è così scontata”. 

“Parlando di Nesta, in conferenza stampa, prima della partita con la Sampdoria, ha detto: “Io ho due jolly: Libutti e Varela. Sono ragazzi in gamba: non ti dicono niente e vanno”. Come ti fa sentire questa dichiarazione? Com’è venire allenati da Nesta?”

“Io poi, essendo milanista, quando ho saputo la notizia, mi ha fatto un po’ effetto. Purtroppo, vivendolo tutti i giorni, lo dai un po’ per scontato e non ci fai più caso, poi, ogni tanto mi ricordo, dico: “Ma lui è stato quel tipo di giocatore lì” e quindi mi fa ancora un po’ strano, mi fa effetto. Però, penso che sia una grande fortuna: possiamo solo imparare con lui, con il suo staff – tutte persone bravissime, disponibili, che ci fanno migliorare tanto -. È un’occasione, una fortuna che dobbiamo sfruttare al massimo, dobbiamo godercela al massimo, perchè non sai fino a quando possa durare, non si sa fino a quando si abbia la possibilità di vivere un ambiente così bello. Io poi cerco di impegnarmi al massimo e farmi trovare sempre pronto: in caso di necessità, se c’è bisogno, cerco di dare tutto quello che posso per dare una mano alla squadra”. 

“La rivoluzione della squadra: il passaggio di allenatore da Diana a Nesta te lo aspettavi? Inoltre, l’organico di quest’anno è composto da giocatori giovani molto talentuosi – Girma, Bianco e Vergara, per esempio – e da altri, magari più esperti – Sampirisi, Rozzio, Cigarini, lo scorso anno c’era Fausto Rossi e non solo -. Dunque, quali sono i giocatori giovani che ti hanno maggiormente stupito? E quelli più esperti?” 

“Inizialmente, è stata un po’ dura, perchè non mi aspettavo una rivoluzione così grande, perché, dopo aver vinto un campionato, pensavo che un po’ tutto il gruppo lo portassero in B. Però, purtroppo, a volte il calcio è così, anche in altre squadre hanno fatto così. È stato duro partire, perché avevamo legato tanto coi ragazzi: c’era un rapporto incredibile, però, la cosa bella, che ti fa capire quanto fosse speciale quel gruppo, è il fatto che tutt’oggi ci sentiamo, siamo sempre in contatto e ci seguiamo l’uno con l’altro. Loro, addirittura, seguono tantissimo anche noi, quindi è come se giocassero lo stesso, da lontano, con noi. E, quindi, è bello anche per questo. Speriamo un giorno di ritrovarci. Diciamo che con Fausto, pure, c’era un rapporto speciale e bellissimo, ma, in generale, con tutti i ragazzi. Però, poi siamo partiti in ritiro, sono arrivati tutti questi ragazzi nuovi – anche loro molto umili, disponibili, ragazzi giovani fortissimi – e davvero fanno impressione: sono così giovani ma sembrano dei veterani, per come giocano le partite, per la spensieratezza che hanno. Io penso che si possa imparare molto da loro appunto per la spensieratezza che mettono in campo. Poi, per quanto riguarda i grandi, loro fanno la differenza nelle altre cose: nel gruppo, nello spogliatoio e in campo, quando c’è da sistemare qualcosa. C’è un giusto mix tra giovani e grandi, davvero fantastico, perfetto. Stando con questi ragazzi – sia giovani che grandi – si può solo che imparare, anche solo vedendoli. Io adesso non sto giocando, ma, vedendoli anche da fuori, mi impressiono ancora di più e, infatti, cerco di rubargli tutto il possibile quando giocano, così cerco di prendere un po’ da tutti, perché sono davvero forti. E sono sicuro che tutti avranno una gran carriera”. 

“E, tornando indietro, come sei cresciuto calcisticamente e qual è l’allenatore che ti ha dato l’insegnamento più grande?”

“Sono cresciuto lì, nel settore giovanile vicino casa. La passione è nata con mio fratello più grande: lui è un attaccante e gioca tutt’oggi, lì al paese – Rionero in Vulture, in provincia di Potenza – e segna sempre. Andavamo con mamma a vedere le partite e faceva sempre un sacco di gol; a 16 anni già aveva esordito in Eccellenza, lì, al paese, però lui non si è voluto mai spostare. Secondo me, lui era molto più bravo di me. Poi c’era anche mio cugino, anche lui molto bravo, quindi, grazie a loro, anche io mi sono appassionato e sono andato nella stessa scuola calcio. E qui c’era un mister – Angelo Gargano -, che è stato il mio primissimo allenatore e forse è lui che mi ha fatto innamorare di questo sport, perché mi ha insegnato proprio le basi e i valori principali di questo sport e proprio della vita, in generale. Quindi, ancora oggi, ci sentiamo spesso: quando ho qualche dubbio, qualche consiglio da chiedergli. Per me, lui è una figura importante e devo un po’ tutto a lui, perchè mi ha indirizzato e mi ha fatto appassionare a questo sport. Poi ammetto che ci voglia anche fortuna nel percorso – si devono incastrare un po’ tutte le cose -, perché il gruppo, anche lì, giù al paese, aveva tanti ragazzi bravi, solo che ci vuole un po’ di fortuna. A me si sono incastrate un po’ tutte le cose e poi, piano piano è partita l’avventura. Poi, però, devo dire che ho avuto tante difficoltà nel percorso, perchè sono molto legato alla famiglia, quindi le prime esperienze fuori non sono state facilissime: se non fosse stato per la mia famiglia – mia mamma, mio papà, mio fratello e mia sorella -, a quest’ora – lo dico sempre – non sarei qui a vivere queste emozioni. Questo perché stavo per lasciare, loro mi sono sempre stati vicino e mi dicevano di provarci, almeno, perché avevamo fatto tanti sacrifici. Poi, quando è arrivata l’occasione, quando sono andato a Trieste – mi sembrava distante, volevo fare un passo indietro -, se non fosse stato per la loro vicinanza, a quest’ora non sarei qui, a vivere tutte queste emozioni. Quindi, vado avanti, cerco di dare ancora qualcosa in più, perchè soprattutto loro meritano questo tipo di emozioni e sono contento più per loro che per me stesso. E quindi spero che le cose vadano bene, soprattutto per loro, che lo meritano ancora di più”. 

“La Reggiana di quest’anno ha avuto momenti molto positivi – 7 partite senza perdere,  dal 23 dicembre al 10 febbraio – e altri un po’ più negativi – il pareggio con il Lecco o, magari, anche il periodo di adesso, visto che l’ultimo successo è stato quello di Bari -. Secondo te, questi periodi altalenanti da cosa derivano?”

“Semplicemente, il campionato di B è difficile e strano – lo dimostrano i risultati -. Però, già il fatto di non perdere è positivo. Ci manca, magari, soltanto qualche ultimo dettaglio proprio negli ultimi metri, per fare proprio qualche gol in più. Penso solo questo, perché il gruppo c’è, l’ambiente è sano, le partite le abbiamo fatte un po’ con tutte. La cosa positiva è che ce la siamo giocata con tutte, tranne magari due – capitano anche le giornate storte -, però ce la siamo giocate tutte. È proprio il campionato di B che è particolare, strano, però, sì, siamo sulla strada giusta, secondo me”. 

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