Luglio 27, 2024

Il terzo tempo

"When the seagulls follow the trawler, it is because they think sardines will be thrown into the sea"

Dalla scelta di Marchioro alla promozione in Serie A – la nostra intervista ad Ermete Fiaccadori

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Abbiamo intervistato Ermete Fiaccadori, storico presidente della Reggiana, il quale ha portato i Granata in Serie A dopo diverse annate meravigliose, coronate da brillanti successi. Ci ha raccontato quali sono state le sue prime mosse quando ha ereditato questo ruolo da Giovanni Vandelli, tra cui la scelta di Marchioro. Successivamente ci ha parlato dei suoi celebri tre 7° posti consecutivi in Serie B, con una squadra che approdava in quella categoria dopo una grande vittoria del campionato di C1. Per concludere ci ha descritto l’emozione che si prova a vincere la B, portando nella massima serie la formazione della propria città.

<<Io arrivo alla Reggiana nel 1987. Ci arrivo perché la società, con Giovanni Vandelli, tutti gli anni prometteva invano un campionato di vertice. Lui l’aveva presa 6 anni prima ed era retrocesso nel primo campionato con una squadra forte ma “rotta”, un direttore sportivo – Moreno Roggi – discutibile, una situazione che, a fine campionato, l’ha portata a retrocedere, senza meritarlo assolutamente. Negli anni successivi prometteva ma non ci saltava fuori: era prima un tifoso e poi un presidente – questo è un limite che non è accettabile per chi vuole fare il presidente -. Lui cercava varie soluzioni come avere degli appoggi o dei sostegni degli altri soci. Una mano forte gliela diede Reno Zoboli – ai tempi presidente della Camera di Commercio – che diventò presidente degli sponsor della Reggiana, un’organizzazione che aveva fatto un’agenzia che raccoglieva gli sponsor piccoli, che arrivarono ad essere 40. Alla fine, 40 sponsor piccoli erano una bella cifra. Io ero all’”Asso”, in quegli anni, poi sono andato a lavorare a Bologna. Galeotti, presidente dell’”Asso”, era molto attivo sulle questioni sportive. C’era Chiarino Cimurri, che ogni cosa si muovesse ci metteva la sua mano per tentare di aiutare, ma non ci saltavano fuori. Io, dopo che ero andato a Bologna, mi misi in mente di provare a vedere se si riusciva a fare qualcosa e andai a trovare Walter Sacchetti alle Cantine Riunite. Lui stava terminando l’esperienza con il basket, ma non voleva essere fuori da tutti questi giochi. Gli andai a parlare, gli spiegai quella che secondo me poteva essere un’idea, lui accettò ed entrò nella società della Reggiana col 20%, che acquistò da Vandelli. Io entrai nella Reggiana in rappresentanza di Sacchetti, eravamo nel 1987, ad inizio del campionato o poco dopo, nell’annata ‘87-’88. Un campionato travagliato come tutti gli altri, perché la società era combinata così. Nella primavera del 1988 Vandelli cercò di cedere tutto e io cercai di convincere Sacchetti, poiché ero già dentro e sapevo come stavano le cose.

<<Abbiamo la possibilità di contattare altri>>

<<Va bene, vai a cercarli, se loro sono disponibili io ci sto>>.

E io andai a parlare con Vando Veroni a Correggio – aveva lo stabilimento a San Martino -, e con Franco Morini, che aveva lo stabilimento a Reggiolo. Loro erano disponibili e alla fine si concluse l’operazione. Costituirono una società, che era la Finsport, e, tramite essa, comprarono il resto delle azioni della Reggiana. Dopo cominciarono ad entrare altri, rimase dentro con una quota Vacondio, poi con una piccola Spaggiari, infine c’era Zambelli, di Casalgrande. Dopodiché Sacchetti coinvolse altri suoi amici, che entrarono e, comprando tutta la Reggiana, io diventai presidente – prima ero vice – quando la Finsport comprò tutto, ad inizio ‘88. E lì comincia l’avventura>>.

Prima di cominciare questa avventura da presidente della formazione di Reggio Emilia, Ermete Fiaccadori si è reso protagonista di una carriera da calciatore in maglia granata, nelle giovanili. <<Quando ero ragazzo la Reggiana spediva le convocazioni per posta, questo ti fa capire come funzionava un Paese ai tempi>>

In foto i documenti delle convocazioni, oltre che la tessera da giocatore

<< Cosa ti ha spinto a scegliere Marchioro come allenatore?>>

<< Lì ci fu prima una questione poco nota, che fu quella di scegliere il direttore sportivo. Io, nel frattempo, mi ero fatto un’idea. Avevo dentro la Reggiana, in quel momento, come direttore sportivo Nardino Previdi. Era un “boss” del mercato del calcio ai tempi. I “boss” del mercato erano 4 o 5 in quel periodo: Sogliano, Damiani, Previdi e pochi altri, ovviamente c’era Moggi. Quest’ultimo era il capo assoluto, però gli altri si davano da fare molto bene. La prima scelta da fare fu il direttore sportivo e io mi convinsi, visto che l’avevo valutato durante la strada, che valeva la pena di scegliere Renzo Corni che, invece, veniva considerato un uomo non all’altezza da alcuni. Questa fu la scelta fondamentale, direi. Fu poi Renzo a proporre Pippo Marchioro. Io non lo conoscevo: lui lo propose, ragionammo, lui spiegò bene chi era Pippo e cosa aveva fatto, espose cosa si poteva fare con questo allenatore, con il quale aveva ovviamente parlato e a quel punto decidemmo, senza avere tante certezze, ma convinti che l’idea di andare a costruire una squadra che avesse un allenatore con una certa esperienza, com’era allora Marchioro – anche innovativo nel gioco del calcio poiché lui aveva giocato a zona prima che lo facesse Sacchi – fosse una buona cosa. Aveva allenato a livelli alti, compreso il Milan, dove però fu disgraziatamente esonerato. Aveva fatto dei cicli importanti a Como e a Cesena, prima di Reggio. Venne scelto di affidargli la squadra della Reggiana e da lì si costruì la squadra con Renzo come direttore sportivo e Pippo Marchioro come allenatore. Un’altra scelta importante di equilibrio per la gestione fu quella di William Vecchi, che divenne allenatore in seconda, nonché preparatore dei portieri. E lì si costituì un quartetto che governò gli aspetti tecnici per tutti gli anni in cui sono rimasto. Era un quartetto che, appunto, era formato da un direttore sportivo, un allenatore, il vice, ed io. Facevamo le riunioni sulle questioni tecniche, dove io dicevo poco perché ero l’ultimo, però io avevo il quadro della società, loro, invece, avevano le idee, le soluzioni, le alternative… da lì si è cominciato a costruire un rapporto che poi è durato nel tempo. Dura ancora, con Pippo Marchioro: ci sentiamo, ci parliamo al telefono>>.

<<Quali pro e contro pensi abbia avuto l’ammissione degli stranieri nel nostro campionato?>>

<<L’inserimento degli stranieri nel nostro campionato è stato un elemento, secondo me, positivo, perché ha portato, nella stragrande maggioranza dei casi, dei talenti e ha aiutato il calcio italiano a crescere dal punto di vista tecnico e anche come competitività nei confronti delle restanti nazioni del calcio. Probabilmente, strada facendo, con l’Unione Europea, la questione non è più stata governata. La vera questione che ha sconvolto il mondo del calcio, rispetto a quegli anni, secondo me, non è stata principalmente quella degli stranieri, é stata quella dell’esplosione delle sponsorizzazioni e del mercato televisivo nei confronti del calcio. Ciò, infatti, ha cambiato i connotati economici della gestione delle società e ha reso le gestioni delle squadre sempre più complesse, con equilibri sempre più complicati. Io ricordo quando Silvio Berlusconi, proprietario del Milan, andò a comprare l’ala destra del Torino Lentini. Era giovanissimo, un grande talento del Toro di Borsano. In quel momento, se ricordo bene, si era arrivati a pagare 4, 5 o 6 miliardi quelli più forti, e lui lo pagò tre volte tanto. Per la verità, dietro c’era del nero, dopo c’é stato un processo, una situazione molto brutta. Aveva sconvolto il mercato perché i parametri che c’erano prima erano stati rotti. Berlusconi venne all’assemblea dei presidenti a dire che aveva sbagliato e che non l’avrebbe più fatto. Ce lo disse davanti a tutti perché aveva capito che l’operazione gli aveva preso la mano, era esagerata e non andava bene. In sostanza si riprometteva di non proseguire su quella strada, cosa che invece, poi, fece sistematicamente, perché da lì lui cambiò i connotati del mercato. Ed è vero che da lì esplosero tutti i diritti televisivi e tutte queste cose, però per le squadre minori e non solo diventò un problema delicatissimo: la chiave non era più incassare o la sponsorizzazione, ma erano i diritti televisivi. E questo determinò un cambiamento delle politiche societarie>>.

<<Com’è stato vincere la Serie C1 nella prima annata?>>

<<È stato il campionato del 1988-1989, primo di Marchioro. Si fa la squadra con Renzo che gioca alcune carte, alcune scommesse. Quella più grande fu Silenzi, che lui conosceva e che caldeggiò lungamente tanto da convincere sia noi che Marchioro. Poi prese Rabitti dal Modena e alcuni altri. Noi ai tempi avevamo De Vecchi capitano e in porta avevamo Facciolo. Renzo, se ricordo bene, quell’anno andò a prendere Villa perché aveva un bel rapporto con il Milan. Villa era un bel difensore, De Vecchi faceva il secondo centrale, poi avevamo già De Agostini. Costruimmo una squadra che Pippo plasmò abbastanza rapidamente, perché aveva dei giocatori giovani, come era Morello – che era un ragazzino -, oltre a Silenzi, anche lui di poco più di 20 anni. Erano presenti anche altri un po’ più esperti come Rabitti, De Vecchi, De Agostini… Renzo andò inoltre a prendere subito Zanutta dalla Sampdoria. L’aveva visto più volte a Parma. Era una riserva, però giocò qualche partita anche lui. Pippo costruì la squadra secondo le sue idee e la squadra gli diede retta. Lui, tra l’altro, aveva un certo fascino nel fare l’allenatore, ci sapeva fare: era un uomo che sapeva cogliere le varie sfumature dei giocatori e capiva. Del resto, era stato un giocatore anche lui. E, alla fine, riuscì a mettere insieme una buona squadra. Abbiamo avuto anche un momento di calo ad inizio del 1989 nella fase invernale. Le squadre di Pippo avevano sempre avuto quel problema. Arrivammo all’ultima partita che eravamo un punto davanti al Prato che, se avesse vinto, avrebbe ottenuto la promozione. Vennero a giocare qua l’ultima partita di campionato, loro a 43 e noi a 44. Il caso aveva voluto così. Lì la devi vincere, non puoi metterti lì a fare tanti calcoli. Giocammo e vincemmo questa partita, facemmo meglio del Prato, il quale non aveva la forza che avevamo noi, però era arrivato all’ultima di campionato: quindi non é che fosse così debole. Andammo su. Fu una sorpresa: la Reggiana non era certo partita come favorita. Questo ci aiutò perché Pippo non aveva la pressione di dover vincere. Diversamente da quello che aveva fatto Vandelli – che tutti gli anni assicurava di andare in Serie B – noi non l’avevamo promesso, però il nostro allenatore lavorò bene e costruì le condizioni per poter arrivare a giocarcela, una vera sorpresa. Fu una sorpresa anche il gioco di Marchioro e la cosa non fu affatto secondaria, perché questo attirò molto l’attenzione delle altre società. Quando noi andammo in Serie B i rapporti con il Milan si consolidarono: ci diedero altri giocatori perché la Reggiana giocava come giocava il Milan e loro ci venivano a vedere. La Reggiana passava per una squadra che adoperava un bel gioco: moderno, simile a quello di Sacchi. Sia il campionato di C che di B furono molto positivi>>.

Una foto della festa promozione

<<Come ha fatto la Reggiana, da neopromossa, ad ottenere un posizionamento così alto nella stagione ‘89-’90?>>

<<La chiave é stata ragionare con Marchioro per dare continuità al gioco della squadra, provare a rafforzarla nei punti che il campionato precedente ci aveva segnalato come punti da migliorare. Bisogna tenere conto che noi con Marchioro facemmo un patto, che lui, scherzosamente, rifiutava, ma io glielo imposi. Il patto era: noi ti diamo via, ogni anno – come società – il più bel giocatore che abbiamo e facciamo cassa. Tutto il resto, dopo lo vediamo, discutiamo. C’era la discussione del famoso “tavolo a 4” con Corni, Marchioro, Vecchi e io. Io ero un soggetto un po’ particolare: facevo il budget, il budget societario e quello della squadra. Era molto preciso e, prima di partire, Pippo e Renzo sapevano quanto avevano a disposizione per ragionare sul mercato degli acquisti. E ipotizzavamo – io e Renzo Corni – quanto avremmo speso per il terzino sinistro, per il centravanti, per il mediano a destra, per il portiere e via dicendo. E man mano che facevamo le operazioni di mercato – e al mercato andavamo io e Renzo Corni – scalavamo dal budget. Non è che venivamo a casa e poi facevamo i conti, li facevamo a Milano, seduta stante. Fatta l’operazione dicevamo: << Dunque, questo giocatore, che noi avevamo ipotizzato ci potesse costare “x”, ci è costato il doppio. Bene, adesso mettiamo che l’abbiamo comprato a questa cifra però tiriamo via quello che abbiamo speso in più da altri, per cui tu, Renzo, ora ti vai a fare prestare il giocatore che deve giocare di lì, vai a prendere il ragazzino che non ci costa niente, perché non possiamo spendere più di quanto prestabilito >>. Non abbiamo mai sforato il budget, io ero poi un mastino su questo: non ci mollavo. Pippo all’inizio non credeva che avrei adoperato questo modo di gestione, poi invece lo prese per buono. Subito pensava che scherzassimo, invece poi capì che la strada era quella, perché poi tornavamo e gli illustravamo come avevamo concluso il budget o come lo volevamo concludere. Gli dicevamo: << Pippo, abbiamo speso questa cifra per il giocatore che tu volevi >> – e che Renzo, ovviamente, acconsentiva – << però ci é costato di più, adesso non abbiamo i soldi per prendere quello lì. Ora per quello lì ti devi accontentare di quello che ti porta Renzo >> che va a prendere, dalla Fiorentina, Paganin, in prestito con diritto di riscatto basso, perché era un ragazzino. E un anno più tardi era titolare! Renzo aveva questa grande capacità di guardare i giovani e noi rinfoltivamo l’organico con giocatori che, dal punto di vista economico, costavano pochissimo. Paganin venne da noi da ragazzino, aveva poco più del minimo del contratto previsto dalla Lega. Fece la riserva subito, poi cominciò a giocare e diventò titolare. Dopodiché l’abbiamo venduto ad una cifra sbalorditiva. Renzo Corni é andato a prendere Zanutta, che il Parma non aveva in grande considerazione, ed é diventato il nostro giocatore, il nostro capitano. Quando andò via De Vecchi io dissi a Renzo:

<<Renzo ma come facciamo? Se va via De Vecchi chi mettiamo lì dietro?>>

<<Ermete, non preoccuparti: gioca Zanutta>>

<<Come ‘gioca Zanutta’? E’ un terzino sinistro>>

<<No, adesso lo facciamo giocare a sinistra, ma lui ha già giocato centrale, a fianco di uno stopper vero, nel Parma, nelle giovanili>>

<<Come?>>

<<Sì, io l’ho visto. Lo so. So come fa e vedrai che lì farà bene>>

e infatti andò a finire proprio così. Si é messo a giocare lì e finché ci siamo stati ha giocato lì. Perché lui li vedeva questi. Il 7° posto nella B – nel primo, nel secondo e nel terzo anno – é frutto di questa programmazione. Noi programmavamo dal punto di vista tecnico e societario, dentro gli equilibri economici della società, e Pippo ci metteva del suo a far girare la squadra. E questo equilibrio dove non ci pestavamo i piedi, tra le competenze dell’uno e dell’altro – ma discutevamo animatamente – era importantissimo. Erano spesso dibattiti sulle caratteristiche dei calciatori, che poi, alla fine, si ricomponevano. E poi decidevamo. E questa forza di avere il gruppo che decide dentro i limiti è stata la base sulla quale poter arrivare a conseguire i risultati tecnici che abbiamo ottenuto. Bilancio a posto, noi abbiamo ottenuto il 7° posto per 3 campionati consecutivi. Questa era la chiave di volta, dall’esperienza fatta>>.

<<Quanto é stato importante Augusto Gabriele nelle prime stagioni?>>

<<Augusto Gabriele, nella promozione dalla Serie C fu un elemento molto importante, perché lui era il fantasista di quel periodo, che ci diede una mano a crescere, a creare le condizioni per poter avere nel gioco offensivo una qualche arma in più. E lui, su questo, era stato un calciatore molto importante perché ci mise del suo. Noi poi avevamo una squadra – con Silenzi e Morello – giovane e lui invece era un vecchio marpione della C che sapeva il fatto suo e lì ci diede una bella mano>>.

<<Quanto é stato fondamentale avere un centravanti come Silenzi?>>

<<Silenzi era venuto nel 1988 nel più grande scetticismo, da parte della città, che però non lo conosceva. Lo aveva conosciuto bene Renzo, l’aveva seguito parecchio, l’aveva visto, sapeva le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e le sue debolezze. Lo spiegò bene a Pippo, a lungo disputarono non poco tra di loro, anche insieme a noi, poi alla fine facemmo l’operazione. Lui, innanzitutto, si trovò in un ambiente familiare adatto: Pippo credeva molto in lui – perché a quel punto aveva sposato questa causa – e lui ricambiò con un impegno notevole. Questo fu fondamentale per la sua crescita. Inoltre, si metteva anche sempre a disposizione, aveva tanta volontà e prestava attenzione a ciò che Pippo e gli altri gli insegnavano, perché poi ai tempi c’era De Vecchi che era un altro bel marpione in campo, che lo proteggeva. E tutto ciò ci voleva, perché non era semplice la C, ma soprattutto la B, poiché siamo andati in campi da fare tremare i polsi. L’altra cosa è che si creò un ambiente familiare. Pippo riuscì a costruirlo e lui si trovava a suo agio, lui e tutti gli altri. Noi poi avevamo delle regole abbastanza particolari: i ragazzi “non sposati” vivevano a Villa Granata, questa era la regola che gli dicevamo da subito, quando eravamo a Milano, prima di fare il contratto, dicevamo che non avremmo derogato. L’unica eccezione fatta non è stata felicissima… dunque loro andavano a vivere in villa, che era un ambiente dove, oltre che dormire assieme, facevano colazione, pranzavano, cenavano, erano controllati negli orari, oltre che nell’alimentazione. “La casa era il lavoro” perché la villa era sui campi, quindi erano molto “sorvegliati” – erano giovani… -. Questo creò un ambiente familiare notevole. Andrea Silenzi costruì un rapporto di amicizia personale molto stretto con Stefano De Agostini, suo compagno di camera. Sono rimasti amici per la vita. Questo li aiutò molto: erano ragazzi giovani e si creò quell’ambiente che gli permise di crescere come persone e anche tecnicamente, così da dare alla Reggiana quei 23 gol nel campionato di B. Silenzi diventò capocannoniere e poi ci consentì di arrivare a fare una cessione al Napoli di Moggi e Ferlaino, presidente del club, incredibile: erano 6 miliardi di lire, che per noi voleva dire finanziare due campionati della Reggiana. Per noi voleva dire garantirci il futuro. Questo ci consentì anche di fare alcune operazioni un po’ più rischiose, perché avevamo un patrimonio che prima non avevamo. Noi andammo a prendere Ravanelli, altra avventura… però, riguardo Silenzi: furono il suo impegno, le sue caratteristiche, le sue doti, oltre che l’ambiente, ad aiutarlo. In questo la Reggiana gli aveva dato una mano grossissima, non soltanto i compagni di squadra ma anche la società. Questo per noi fu un elemento fondamentale per avere un campionato di B così importante, che ci consolidò, perché facemmo il primo anno promozione dalla C alla B, il secondo 7° posto in B, e avevamo il capocannoniere in squadra; quindi, non eravamo più una “Cenerentola” qualsiasi, eravamo una società che diceva la sua>>.

<<Il 7-4 col Cosenza?>>

<<È una partita che ha dell’incredibile. Il Cosenza era allenato da Reja, io poi ho avuto trascorsi con lui successivamente, a Bologna, l’ho portato lì. Aveva una buona squadra, con Marulla. Dopo circa mezz’ora il Cosenza vinceva per 3-0. Noi, in squadra, in quel momento avevamo Ravanelli. Avevamo il miglior Ravanelli, che poi non abbiamo avuto nelle stesse condizioni, cioè un giocatore fisicamente forte, tecnicamente dotato e con un carattere esplosivo. Quando prendemmo il 3-0 mi ricordo che lui prese il pallone in mano, fece un cazziatone a tutta la squadra e, con la rabbia, mise il pallone in mezzo al campo, come per dire:<<Adesso basta>>. E fu una riscossa micidiale, perché, se ricordo bene, noi andammo all’intervallo sul 3-3: in un quarto d’ora facemmo 3 gol. E lui, lì, fu un trascinatore formidabile. All’inizio evidentemente non l’avevamo imbroccata giusta, poi facemmo il 3-3, poi 4-3, dunque 5-3, 5-4, 6-4 e 7-4. Questo accadde perché c’era uno spirito, ecco, lì c’era la squadra. Un risultato di questo genere, questo recupero dal 3-0, lo riesci a fare soltanto se hai una vera squadra, cioè se in campo hai un gruppo che è una squadra vera, perché tu puoi avere sbagliato la prima mezz’ora, aver commesso degli errori, aver fatto delle disattenzioni, aver giocato con sufficienza – com’era successo – prendendo 3 gol, però poi dopo, a vincerla 7-4 ci voleva una signora squadra. E la Reggiana, in quel momento, nel ‘90, era una signora squadra. E lì il “capo della banda” era Ravanelli, quel giorno. Secondo me, fu lui l’uomo decisivo della partita. Alla fine della gara Stefano De Agostini – penso fosse il capitano quel giorno – prese il pallone dentro lo spogliatoio, con un entusiasmo ovviamente alle stelle, venne da me e mi disse:

<<Presidente, le do questo pallone perché lo conservi, perché lei una partita così non la vincerà mai più>>.

E aveva ragione: non l’ho più vinta una partita con quell’andamento, con quegli sviluppi, con quell’epilogo, perché fu una partita rimasta nella memoria di tutti quelli che erano al Mirabello>>.

Il famoso pallone del 7-4 contro il Cosenza con le firme di tutti i giocatori

<<Che soddisfazione è stata battere il Modena due volte nel ‘91?>>

<<Con il Modena c’era una rivalità stracittadina forte. Per la verità, a Reggio, il derby più sentito era quello con il Parma, quello più combattuto. Io, però, non avevo questo sentimento, perché io lì ho studiato e mi sono laureato, quindi avevo amici lì, avevo frequentato la città. Noi, per darti un’idea, eravamo a Parma nella partita dove loro vinsero la partita contro di noi al Tardini e andarono in Serie A, facendo i punti contro la Reggiana. E io ero in campo a prendere i giocatori in maglia granata, a tirarli via, perché c’era l’invasione dei parmigiani, ma non hanno toccato nessun giocatore della Reggiana, neanche sfiorato. Io ero lì a tirare via i nostri calciatori perché i parmigiani, che erano andati in A, avevano perso la testa e ci stava. Io ero lì a tirare dentro i miei:

<<Dentro, dentro, dentro! Lasciate perdere, abbiamo perso? Va bene, sono più forti. I 3 punti noi li facciamo domenica>>.

Io li prendevo, li tiravo dentro, li buttavo negli spogliatoi perché non avevo il distintivo della Reggiana, mi potevo permettere di farlo. E poi, quando ho finito, eravamo tutti giù:<<Bene, chiudi la porta, che adesso andiamo a casa. Fate la doccia>>. E lì arrivò Mara Colla – sindaca di Parma -. Sono ancora lì che rido, perché lei é voluta andare negli spogliatoi del Parma, in quel momento… io le dissi:

<<Lei è il sindaco, può andare dove vuole, si figuri, però, insomma, dentro ci sarà un po’ di trambusto>>

È venuta fuori qualche minuto dopo, negli spogliatoi era successo di tutto. Vabbè, fa niente…

Con il Modena è stata una bella sensazione, perché il Modena aveva delle ambizioni, oltre che una bella squadra. Io però ricordo ancora il rigore che si procurò Totò De Falco a 5 minuti dalla fine o poco più, nell’area di rigore del Modena, con una giocata d’astuzia, del repertorio di Totò. Franco De Falco era un giocatore formidabile, era una punta che aveva avuto un’esperienza micidiale. Lui, soprattutto, per la maggior parte della sua carriera era stato a Trieste, lasciando il segno, lì. Quando venne da noi era in fondo alla carriera e lui fu una riserva, una spalla importante, che nelle situazioni di bisogno montava su. Non era più un ragazzino che potesse permettersi di fare partite su partite, perché aveva già una certa età, ma aveva un’esperienza alle spalle ed una furbizia, oltre che una capacità di leggere il calcio, le giocate, che erano formidabili. E a Modena, per effetto di una di queste, ci permise di prendere un rigore a pochi minuti dalla fine con quelli del Modena con le mani in testa, perché non se lo aspettavano. E lì fu una giocata di Totò De Falco, con il quale sono in ottimi rapporti anche adesso, ci sentiamo. Lui poi è stato maldestramente squalificato per una vicenda che non aveva assolutamente meritato, però, insomma, questa è un’altra storia. Ricordo benissimo questo episodio con Totò al Braglia, secondo me i modenesi sono ancora lì che si stanno mangiando le mani>>.

<<Che emozione è stata la promozione in Serie A?>>

<<L’emozione della promozione in Serie A è indescrivibile, perché, chiaramente, io, seguendo tutte le partite e tutti gli sviluppi… Noi avevamo capito che eravamo su quella strada, però temevamo quello che dicevo all’inizio: le squadre di Pippo, dopo la metà del campionato, avevano un periodo di minor rendimento. Temevamo molto questa fase – la quale, in parte, c’è stata – però eravamo consapevoli che avevamo messo insieme una squadra che aveva un equilibrio formidabile. Bisogna tenere conto che noi vincemmo in una situazione nella quale l’attacco era un po’ curioso, perché il capocannoniere della promozione in Serie A era stato Sacchetti. Il centravanti, che era Pacione, aveva dei problemi fisici. Era una persona stupenda ed anche un giocatore meraviglioso, ma, dal punto di vista fisico risentiva del logorio che una carriera lunga come la sua gli aveva procurato, aveva subito infortuni importanti. Tutto ciò limitava il suo rendimento in campo. Anche lui, tuttavia, fu, nei momenti decisivi, importantissimo. A Venezia, che fu una delle partite chiave – tutti ricordano Cesena, ma quella gara in Veneto, secondo me, era stata quella che aveva messo le basi – fu fondamentale. Noi andammo a giocare lì e vincemmo qualche settimana prima, creando delle basi anche di vantaggio, come classifica di campionato: arrivammo ad essere promossi a quattro partite dalla fine del campionato. Quindi noi avevamo un vantaggio rilevante e questo era stato possibile perché Pippo era riuscito negli anni a costruire una squadra con il suo gioco, equilibrata, in grado di dettare il suo gioco e di creare le condizioni che le permettessero di fare la sua partita ovunque, in tutti i campi e con tutte le squadre. Se la provava a giocare, poi qualche volta riusciva meglio, qualche volta meno, qualche volta abbiamo fatto anche delle vittorie quasi irripetibili: io ricordo che a Pisa vincemmo 0-1 con gol di Sacchetti – alla fine il capocannoniere é quello che fa gol -. Trionfammo all’Arena Garibaldi. L’avversario aveva una squadra forte, non una squadretta. E lì c’era presidente Anconetani, che era in tribuna vicino a me – non di fianco a me perché lui era un vulcano: non stava mai fermo -. Prima era andato a spargere il sale perché lui aveva tutti i suoi riti. Noi vincemmo 0-1 e quella domenica lì la vittoria fu merito non solo del gol che fece Sacchetti, ma del signor Luca Bucci. Lui, quel giorno, parò l’imparabile: quello che non si sarebbe potuto pensare che l’avrebbe parato, perché si presentarono giocatori del Pisa davanti a lui, per calciare in gol 6, 7, 8 volte e lui negò tutte le volte la rete, con i tiri che o si esaurivano sul fondo o venivano parati da lui. Alla fine Anconetani non credeva di aver perso la partita, per dire che la promozione é poi stata frutto di una serie di elementi costruiti strada facendo, i quali hanno posto le basi di una realtà solida della squadra, che é arrivata ad ottenere questo risultato. Per me, avere la promozione in Serie A – che la Reggiana non aveva mai avuto – con la squadra della mia città, contro il pronostico di tutti… Noi l’anno prima fummo accusati di non voler andare in Serie A. Era stato l’anno di Ravanelli, quando si fece male alla spalla e praticamente da metà campionato non giocò più. Noi non avevamo un sostituto alla sua altezza, perché non era semplice andare a sostituire un giocatore di quel calibro. Ravanelli era tanta roba. Poi, come carattere, era fatto alla sua maniera: alla fine non ci diede una mano, ma la squadra probabilmente più forte e più equilibrata era quella di quell’anno lì, con Ravanelli in forma. Se noi avessimo avuto il Ravanelli del 7-4 col Cosenza l’anno precedente saremmo andati in Serie A una stagione prima, perché lui avrebbe fatto non so quanti gol. Se invece che stare lì a cincischiare perché voleva andare alla Juve… Io ricordo quando noi andammo a giocare a Bologna. Mi sembra che vincemmo 0-2 trascinati da una sua doppietta. Lui andò in sala stampa, dichiarando:

<<Ringrazio il Signore di permettermi di avverare il mio sogno: vado dove io sono sempre voluto andare, alla Juventus>>.

Io ero dietro le quinte della sala stampa e sentivo. Ho sentito tutto e dopo é toccato a me e loro mi hanno chiesto:

<<Allora presidente, é vero che é tutto fatto con la Juve? Ravanelli va alla Juve?>>

<<No>>

<<Ma come? Ravanelli ci ha appena detto che va alla Juve>>

<< Ravanelli vuole andare lì, ma per andarci deve essere d’accordo con la società, perché Ravanelli é un giocatore della Reggiana. Se non c’é l’accordo con la società, non va da nessuna parte>>.

E io avevo la società che non era d’accordo. Io ero per darlo alla Juventus in cambio di contropartite tecniche – mi ero accordato con Marchioro su questo -. Non volevo soldi, ma giocatori. Pippo mi disse, in sostanza:

<<Puoi dare via Ravanelli, portami a casa Massimo Agostini>>

Il Condor, si chiamava.

<<Tu portami a casa il Condor e dai via Ravanelli>> E io andai a Torino, da Boniperti, e gli dissi:

<<Senta, io glielo posso dare se lei mi dà il Condor>>

<<Ma come? Non é mica mio!>>

<<Guardi, adesso non devo venire io ad insegnarle come lei deve fare perché é del Milan. Io non vado a discutere col Milan del Condor, ci vada lei, dicendogli che lo gira a me>>.

Non si fece niente. Ravanelli non giocò perché aveva male alla spalla e andò via alla fine del campionato. Il calcio é fatto anche di queste delusioni. Per me fu un’emozione grossissima che fu però rapidamente superata per il fatto che noi andammo in Serie A, ma io, 3 giorni dopo la fine del campionato mi dimisi. Era il 16 giugno del ‘93. La sera della festa della promozione in Serie A, alla quale vennero tutti, – la facemmo lì a Villa Giorgia, ad Albinea – c’erano reggiani ma non solo, perché c’era la Lega e via di seguito. Io venni giù il mercoledì della festa e a mezzanotte andai in sede, appoggiai tutta la roba della Reggiana che avevo: il telefono, la carta di credito… tutto salvo le chiavi perché mi tirai dietro la porta e chiusi a chiave e tornai a casa. La lettera di dimissioni che lasciai sulla scrivania era una cosa a cui stavo lavorando da settimane. Quindi io avevo l’emozione della promozione in Serie A, quando fu fatta la festa e tutto. Un’esplosione di gioia infinita, però provai amarezza subito dopo>>.

Un’immagine dei festeggiamenti per la promozione in A conservata con cura dall’ex presidente della Reggiana

<<Cosa pensi che serva alla Reggiana per mettere le radici in Serie B, adesso?>>

<<Secondo me loro adesso devono creare delle condizioni societarie di collaborazione forte con la parte tecnica: direttore sportivo, allenatore e staff di quest’ultimo – oggi molto più numeroso rispetto a quelli di una volta -. Ci vuole la sintonia, poi ciascuno deve fare del suo meglio. I tecnici, Nesta in primis, devono fare vedere che hanno un’idea di gioco e le condizioni per poter gestire il gruppo. Inoltre, oggi la formazione del gruppo mi dà l’idea di essere molto più complicata di quella di una volta, visto che il mercato é un mercato totalmente diverso rispetto a quello che c’era 30 anni fa. Adesso comporre un organico di società mi sembra che sia molto più difficile. Devono trovare un equilibrio tra esigenze e disponibilità societarie ed esigenze e caratteristiche tecniche della squadra che vogliono comporre. E in questo la società, Goretti – il direttore sportivo -, Nesta – l’allenatore -, devono trovare un equilibrio, che non si realizza con formule magiche, ci vuole del buon senso, del criterio. Bisogna rispettare delle regole. Una delle prime che ci eravamo dati noi e che abbiamo rispettato noi era il rispetto dei ruoli: l’allenatore é quello che decide sugli aspetti tecnici, il direttore sportivo é quello che fa il mercato e tiene i rapporti con le altre società e con i procuratori – che sono diventati, nel tempo, sempre più importanti – e la società che deve mettere in condizioni loro di lavorare al meglio e gli deve dare le direttive entro le quali loro devono stare, di carattere sia economico che organizzativo. Questo ci vuole, ci vuole la consapevolezza che bisogna mettere insieme un gruppo, una squadra. Ciò richiede del tempo, della pazienza. Il primo anno sarà durissimo, però io adesso non saprei che cosa sia in grado di dare in termini immediati Goretti, oltre che Nesta. Non sono in grado di fare questa valutazione. Da sportivo mi auguro che riescano a tirare fuori il meglio e che, nella composizione dell’organico, riescano a trovare le soluzioni che vadano bene per le idee che hanno di gioco, le idee che ha Nesta. Se loro riescono a trovare questa combinazione é un bel passaggio. Vedo adesso che stanno ragionando per un giocatore e per un altro, proprio in funzione di quella che é l’idea del gioco che ha il mister. E questo é un elemento essenziale. Goretti e Nesta devono essere in simbiosi: devono viaggiare con ruoli diversi, ma con un’idea ed un obiettivo unico e condiviso. Allora, lì si possono portare a casa delle condizioni per fare bene. E io me lo auguro>>.

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